Siamo passati da un mondo di orologi a un mondo di nuvole.
(K. Popper)
Al primo levar del sole
Come una nuvola in un quadro
C’è una nuvola
( Shusai, Munier)
Il nuovo progetto fotografico rielabora creativamente l’immagine classica del ritratto (il
titolo gioca appunto con il termine inglese Portraits), seguendo il consueto processo di
allestimento e costruzione dello scatto, della scena. Il soggetto è collocato in un ambiente
che lo caratterizza, che dice qualcosa di lui. Ma davanti al soggetto avviene l’improvviso
passaggio di una nuvola. La nuvola copre tutti i volti e gran parte della figura o delle figure
ritratte, assorbe e riflette la luce, immette nella previsione dell’immagine un elemento
aleatorio, incontrollabile, innesca un meccanismo di proliferazione di senso dell’intera
operazione. Dobbiamo lasciarci trascinare da questo slittamento, dallo scivolamento e
dall’irruzione di questa massa bianca che avvia un gioco polisemico che ci riguarda, che ci
porta dentro e oltre il soggetto fotografato.
I Santimatti ci raccontano dei tempi nuvolosi in cui viviamo. Siamo immersi nelle nuvole,
delle tipologie più disparate. Nuvole che memorizzano e processano dati, nuvole
fotografiche, nuvole musicali, nuvole applicative. In questa dimensione di evaporazione-
smaterializzazione, il soggetto e la sua identità individuale continuano quel lungo
cammino, iniziato già nella modernità, di progressiva e incessante perdita della propria
puntualità, coincidenza, presenza a sé. Non siamo banalmente con la testa tra le nuvole,
non siamo semplicemente persi nella contemplazione di questo elemento fluido, indefinito
e variabile, percepito come misterioso e fondativo fin dall’origine della nostra civiltà, della
storia del nostro pensiero (dalla Bibbia a Socrate, da Lucrezio a Cartesio). E’ il concetto
stesso di individuo che forse sta lasciando lentamente il posto a quella che Barthes
chiamava individuazione, in cui l’io è una pluralità e rete mobile di forze diverse, e in cui
tale pratica evolutiva interminabile è praticata attraverso la Nuance, una nebulosa, soffice
ma gravida di senso – (“etimologia: ci importa perché essa implica un rapporto con il
Tempo che fa, coelum in latino – francese antico nuer = paragonare i colori sfumati con i
riflessi delle nuvole”, R. Barthes).
Le sfumature che ci determinano e ci differenziano sono dettagli che si ripercuotono su un
intero oramai privo di ogni possibilità unitaria, sono cause minime che producono
conseguenze impreviste e di ampia portata. Condividiamo con le nuvole la volubilità,
l’impalpabilità, sempre prossimi a divenire altro non appena ci si illuda di averci catturati e
definiti. Forse dovremmo cominciare ad applicare all’umano le ipotesi meteorologiche,
oppure seguire Popper e le teorie indeterministe: “se noi spingessimo le nostre ricerche
sugli orologi sempre piú a fondo, allora scopriremmo che essi sono propriamente nuvole di
elettroni o nuvole di particelle elementari, che non sono completamente predeterminate e
nelle quali accadono infinite cose che non sono prevedibili; che, dunque, solo la
grandezza fisica dell’orologio ci aiuta a considerare un orologio come predeterminabile in
una certa misura”.
Cloudtraits è un gioco. Guardiamo le nuvole che diventano possibilità e mondi infiniti di
oggetti e di pensieri. Tra le suggestioni possibili c’è quella di pensare di essere immersi in
esse che non sono senza storia ma interessate dalla storia lenta, quasi immobile, della
lunghissima durata, sottomesse ad una evoluzione quasi impercettibile.
Forse il progetto del Santimatti studio, più semplicemente, è un catalogo, parziale e in fieri,
delle nuvole stesse. È l’umano l’elemento transitorio. Le nuvole ci saranno anche dopo di
noi. Bisogna interrogarci sul tempo che faremo domani.
Robert Dunlop
cloudtraits
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