In una determinata situazione della sua vita una persona giunge a sentirsi in una posizione insostenibile: non può fare un movimento né restare immobile senza essere assediata da pressioni e pretese contraddittorie e paradossali, freni ed impulsi sia interni, provenienti da lei stessa, sia esterni e provenienti da coloro che la circondano. Si trova, per così dire, nella posizione di scacco matto”
R. Laing
“Doppio è il movimento delle cose”, scriveva Giordano Bruno. Ci sono moltissimi fatti ed eventi che testimoniano l’esistenza di movimenti doppi, opposti e quindi tali da alimentarsi a vicenda. Di fronte all’apparente vicolo cieco rappresentato dalla scelta tra agiografia e denigrazione, i Santimatti tentano la strada impervia e pericolosa di una logica del doppio movimento, del doppio legame. Da una parte l’inevitabile ingestione di un mito fondativo per un’intera generazione, I Ramones, la loro musica, la loro attitudine. Dall’altra lo sforzo di liberarsene senza rimozioni, andare oltre essi conservandone intatta l’immagine. Tenere insieme questa contraddizione, è fare propria una logica del double bind, lavorare creativamente sulle situazioni nelle quali uno stesso soggetto emette due messaggi che si contraddicono l’un l’altro. Si tratta di tenere insieme la contraddizione, non scioglierla, non lasciarsi irretire ma rilanciare l’oscillazione perenne tra l’identificazione nevrotica e l’interiorizzazione normativa. La bocca è simbolo di apertura alla possibilità di relazione e allo stesso tempo rimando ad un interno segreto e chiuso, alimentazione e digiuno, porta per ingoiare e per espellere. Bisogna giocare sulla relazione tra gli opposti, sulla possibilità di ripetere i movimenti contraddittori, riavviare il processo, montarlo al contrario, non smettere il lavorio sulla soglia, tra il dentro e il fuori. Siamo destinati, molto spesso nostro malgrado, a vivere perennemente colonizzati da marche, miti, idoli più o meno credibili. Sembreremmo condannati inconsapevolmente a restare colonia, in un’alleanza supina e vinta con ciò che ci colonizza. I (h)ate Ramones dei Santimatti ci spinge, con leggerezza ed ironia, ad interrogare la possibile risposta a questa colonizzazione incessante del nostro inconscio, del nostro corpo, della nostra immaginazione. Osservare il meccanismo da una certa distanza, riprodurlo, metterlo in relazione, masticarlo non per poterlo più facilmente interiorizzare ma per riuscire a ricomporlo, trasformato da un movimento doppio. La decolonizzazione forse passa da questo spazio di respiro profondo, da un’attesa che non taglia il vincolo ma trasforma il doppio legame in una trama finalmente decifrabile. C’è bisogno di un lavoro di sottrazione per renderci conto di come quel che interiorizziamo spesso inconsapevolmente si nutra delle nostre stesse carni, che parlino della presenza o delle sue vestigia poco importa. Bisognerebbe decolonizzare e insieme ecologizzare l’immaginario. Dopo la sottrazione, i vicoli ciechi hanno necessità di essere illuminati il più possibile. E le porte, come le bocche, in special modo quando ci è stata tramandata la loro costruzione da qualcuno che non ricordiamo bene chi sia, vanno spalancate il più possibile.
m.p.
I ate Ramones
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